Avv. Pietro Calorio – Foro di Torino
(articolo del 30 gennaio 2015, pubblicato su Altalex.it a questo link)
L’obbligo di deposito telematico degli atti processuali civili è realtà, a vari livelli.
E’ ormai “storia” la sua introduzione nelle procedure di ingiunzione e nei procedimenti civili contenziosi instaurati dopo il 30/6/2014; dallo scorso 31/12/2014 è in vigore per tutti gli atti endoprocessuali nei procedimenti davanti ai Tribunali; a partire dal 31 marzo 2015 sarà la volta dell’obbligo di iscrizione a ruolo in via telematica di tutti i procedimenti di espropriazione forzata individuale, e dal 30/6/2015 l’obbligo verrà esteso al deposito degli atti endoprocessuali davanti alle Corti d’Appello.
La locuzione, identica in varie norme, utilizzata dal legislatore per sancire l’obbligatorietà è la seguente:“il deposito […] ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.
E’ lecito perciò domandarsi quali siano le conseguenze giuridico-processuali del deposito in cancelleria di un atto, previsto dalle norme di cui sopra, eseguito con modalità diversa da quella telematica.
Nulla quaestio in merito al fatto che il cancelliere, cui venga presentato un atto per il deposito con modalità non telematica, non possa astenersi dall’accettarlo, non rinvenendosi nell’ordinamento processuale civile alcuna norma che lo facoltizzi a (o gli imponga di) far ciò.
E’ pacifico quindi che ogni valutazione circa l’ammissibilità e/o la validità del deposito con modalità diversa da quella telematica compete esclusivamente al Giudice.
Tanto premesso, e in applicazione dei fondamentali criteri di interpretazione della norma giuridica, appare doveroso (sotto il profilo letterale) attribuire adeguato valore all’avverbio “esclusivamente”; d’altro lato, per indagare l’intenzione del legislatore, sembra opportuna una breve disamina dei contenuti delle relazioni illustrative ai provvedimenti legislativi che hanno introdotto le recenti innovazioni in tema di “giustizia digitale”.
Nella relazione illustrativa del D.L. 179/2012, nella parte riguardante la nuova normativa sulle comunicazioni telematiche, si afferma che: “[…] l’introduzione di tali disposizioni si rende necessaria al fine di snellire modi e tempi delle comunicazioni e notificazioni […]. Non va inoltre trascurato il risparmio di spesa, derivante dalla definitiva eliminazione delle comunicazioni e notificazioni cartacee da parte della cancelleria.”
Non si ricavano invece elementi specifici dalla relazione che accompagna la Legge di Stabilità 2013 (L. 228/2012), che ha introdotto la norma sull’obbligatorietà del deposito con modalità telematica.
Cionondimeno è evidente che la dematerializzazione e telematizzazione dei flussi informativi provenienti dall’esterno del Sistema Giustizia (cioè i depositi in via telematica) garantisce agli Uffici le stesse ricadute positive realizzate dall’informatizzazione dei flussi dall’interno verso l’esterno del sistema (cioè le comunicazioni telematiche); in più vi è la chiara finalità organizzativa di alleggerire gli Uffici dall’attività di front-office destinata alle incombenze dell’utenza professionale.
L’obiettivo appare essere, dunque, quello di tutela del superiore interesse al buon funzionamento dell’amministrazione della Giustizia, per la quale l’adozione degli strumenti telematici per le comunicazioni e i depositi è stata una precisa scelta di campo: “il PCT rappresenta una scelta di fondo dell’amministrazione della giustizia dalla quale non è pensabile tornare indietro”.
L’obbligo di deposito in cancelleria con modalità telematica è stato, come noto, introdotto con atto normativo di pari grado rispetto al codice di rito civile.
In assenza di previsione sanzionatoria specifica, è quindi compito dell’interprete tentare di comprendere quale tipo di vizio affligga l’atto depositato in cancelleria con modalità diversa da quella “vincolata” dalla norma, che in tanto ha una sua ragione d’essere, in quanto sia dotata di un significato prescrittivo effettivo.
Quid iuris, perciò, circa il deposito in cancelleria di un atto, tra quelli indicati nelle norme di cui sopra, eseguito con modalità diversa da quella telematica?
Si badi: modalità del deposito, e non forma dell’atto.
Ritengo importante soffermarsi su questo dato letterale che, unito al dato finalistico (la ratio della norma), sembrerebbe condurre a dover considerare l’inosservanza della modalità prescritta dalla legge non semplicemente come un vizio formale dell’atto.
La norma parla di esclusività della “modalità telematica”, il che oltretutto implica per l’atto la redazione in “forma” immateriale, non cartacea, digitale. Modalità che, peraltro, vincola l’atto ad una certa forma.
In effetti, se si dovesse ragionare unicamente sotto un profilo di “forma dell’atto”, si dovrebbe necessariamente concludere per l’applicabilità del regime dettato dall’art. 156 c.p.c.: è giustamente inevitabile affermare che l’atto cartaceo raggiunge sempre il proprio scopo (essere leggibile dal Giudice e dalle altre parti), e ciò anche se la modalità di deposito in cancelleria non è quella imposta dalla norma.
La questione, quindi, non sta tanto nell’esigenza di salvaguardia degli effetti dell’atto processuale viziato nella forma, ma in quella di tutela dell’interesse generale allo svolgimento dell’attività di deposito nella modalità telematica, imposta dal legislatore con normativa di rango primario.
Ad avviso di chi scrive, in definitiva, il deposito effettuato con modalità diversa da quella telematica non sarebbe irregolare o nullo, ma affetto da un vizio più grave: inammissibile, improcedibile o comunque irricevibile, senza possibile sanatoria ex art. 156, 3° comma, c.p.c., norma che risulterebbe inapplicabile al caso di specie.
Sembra inoltre di dover affermare la rilevabilità d’ufficio di tale vizio, in quanto le norme che impongono la modalità di deposito telematico sono poste, come detto, a tutela di un interesse generale.
Né sembra pertinente invocare il dictum delle Sezioni Unite Civili che, nell’affermare la validità (sub specie di nullità sanata ex art. 156, c. 3, c.p.c.) del deposito di un atto processuale realizzato tramite invio a mezzo posta alla cancelleria, definisce l’attività di deposito come “priva di un requisito volitivo autonomo”, che può perciò non “essere compiuta necessariamente dal difensore o dalla parte che sta in giudizio personalmente”, ma “anche da persona da loro incaricata (c.d. nuncius)” (l’ufficiale postale, in quel caso).
In tale pronuncia si discuteva della validità del deposito di un atto attraverso uno strumento non consentito o non previsto dall’ordinamento; qui, invece, si sta riflettendo circa la validità del deposito effettuato con una modalità diversa da quella non solo prevista e consentita, ma addirittura imposta dalla legge.
La prima pronuncia giurisprudenziale in argomento sembra avallare questa ipotesi.
Essa arriva all’indomani del 30 giugno 2014, in merito ad un ricorso per decreto ingiuntivo: il giorno successivo infatti, un giudice del Tribunale di Reggio Emilia, “rilevato che il ricorso e la relativa documentazione sono stati depositati “in cartaceo” presso la Cancelleria; ritenuto che l’impiegata modalità di proposizione della domanda monitoria, […] comporti l’inammissibilità del ricorso”, lo dichiarava, appunto, inammissibile, de plano, senza concedere termini per il deposito con la modalità prescritta dalla legge.
“Inammissibilità insanabile”, si direbbe; e benché nel caso di specie la riproposizione della domanda in via monitoria non sia preclusa, altrettanto non potrebbe dirsi per un atto da depositarsi a termine fisso a pena di decadenza, effetto che necessariamente si determinerebbe a seguito di una declaratoria di inammissibilità successiva allo spirare del termine stesso.
Siamo in attesa, al momento, di ulteriori pronunce di merito sul deposito degli atti in cancelleria effettuato in violazione delle modalità prescritte dall’art. 16-bis D.L. 179/2012.
Allo stato attuale una conclusione tanto severa appare l’unica in grado di non tramutare rapidamente in “canzonatorie” le norme sull’obbligatorietà del deposito con modalità telematica, nate per esortare tutti gli operatori della Giustizia ad acquisire la consapevolezza dell’improcrastinabile necessità di utilizzo responsabile e moderno delle risorse della Pubblica Amministrazione.
E’ peraltro auspicabile che tale conclusione trovi ulteriore conforto de iure condendo, in norme che chiarifichino i casi in cui, attualmente, l’assoggettamento di un atto all’obbligatorietà di deposito in modalità telematica non è pacificamente riconosciuto.
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